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Per le scienze umane il bianco è un colore a tutti gli effetti, così come lo sono il rosso, il blu, il verde e il giallo. E questa sua condizione, prima della fine del XVII secolo, non era mai stata messa in discussione. Difatti, dai tempi più antichi fino alla metà del Medioevo, il bianco aveva formato insieme al rosso e al nero una triade cromatica che ricopriva un ruolo di primo piano nella vita quotidiana e nel mondo delle rappresentazioni. Analogamente, in nessuna lingua era mai esistita, per parecchi secoli, una sinonimia tra «bianco» e «incolore»; al contrario, le lingue europee utilizzavano spesso una varietà di termini per esprimere le diverse sfumature del bianco. D'altro canto, il bianco non è da sempre l'opposto del nero. Fino all'inizio dell'età moderna, infatti, i contrari del bianco erano due: il rosso da una parte, il nero dall'altra. È solo con l'invenzione della stampa che la coppia bianco/nero prende il sopravvento su ogni altro abbinamento. La qual cosa determinerà, col passare dei secoli, lo sviluppo di una ricca simbologia del bianco, per lo più positiva nel mondo occidentale: si vedono nel bianco qualità come la purezza, la verginità, l'innocenza, la saggezza, la pace, la pulizia, la salute, la modernità. Non è così in altre parti del mondo, dove può capitare che il bianco sia mal visto, in ragione, soprattutto, dei suoi legami con la morte. Quello sul bianco è il sesto volume di una serie interamente dedicata alla storia sociale e culturale dei colori in Europa.